ISRAELE, LIBANO, PALESTINA: IL NUOVO ORDINE
La guerra regola il mondo e ridefinisce i poteri: non per caso Israele ha chiamato “nuovo ordine” l’operazione lanciata contro il Libano.
Siamo dentro al solco del “grande piano” lanciato dai neo-con statunitensi all’alba di questo millennio, quando si pensava che la storia fosse finita: un “grande piano” terminato con un cumulo di macerie dall’Afghanistan alla Libia, cui oggi si aggiungono le macerie di Gaza, Cisgiordania, Beirut.
Non ci si può semplicisticamente allineare alla pur doverosa condanna di Hamas e del 7 ottobre 2023, perché non è possibile tenersi lontani dal dubbio quando si pensa alle responsabilità, agli errori, alle coperture che stanno giustificando la reazione senza limiti: quella che il Manifesto titola “tremenda vendetta”.
Ridisegnando il mondo, la guerra ci insegna nuove parole: alcune diventano impronunciabili, come genocidio, altre diventano utilizzabili se limitate nel loro senso, come “invasione circoscritta”.
Si è persa l’idea e la memoria che il mondo in guerra possa essere comunque regolato da un qualche appiglio di legalità.
Non esiste più il diritto internazionale, ormai utilizzabile soltanto attraverso l’uso della forza contro i più deboli, né i diversi organismi deputati hanno la forza politica di imporre strategie e tantomeno limiti.
Qualsiasi richiamo a un’idea di regolazione del conflitto e di condanna per la reiterazione delle stragi è considerato un inaccettabile dissenso.
E come non rendersi conto che in Italia oggi si vietano le manifestazioni, aprendo varchi a quanti praticano una violenza molto utile per esaltare le ragioni della repressione indiscriminata?
Netanyahu ha potuto fare la voce grossa all’Assemblea Generale dell’ONU perché non esiste più l’Occidente che gli ha spianato la strada e armato il suo esercito fino alla soglia della follia nucleare, che qualche suo ministro ha anche invocato.
Il nuovo ordine sembra proprio quello del caos e non solo per il triangolo Israele – Libano – Palestina.
Dobbiamo ritrovare un filo di ragionevolezza e portare il tema della pace al centro del dibattito politico.

